A livello stilistico, una delle debolezze che noto maggiormente tra gli elaborati degli studenti del mio corso di scrittura creativa è l’uso di metafore stereotipate, cliché, similitudini già sentite che non derivano dalla diretta esperienza che attinge dalla nostra vita, ma da immagini cristallizzate che qualcuno ha coniato prima di noi.
Usando queste figure retoriche stereotipate quando scriviamo un romanzo o un racconto (sbuffava come una locomotiva, fumava come un turco, piove sul bagnato, etc…) prendiamo a prestito dei collegamenti tra elementi che risultavano originali quando furono creati in quanto:
- erano nuovi
- derivavano dall’osservazione della vita di altre persone in altra epoca
ma che risultano ora atrofizzati.
Nell’usare queste espressioni dimostriamo pigrizia: anziché sforzarci di attingere dai nostri sensi, attingiamo dalla carta.
Come possiamo fare allora per usare metafore originali e vivide?
Come possiamo arrivare ad avere un nostro stile narrativo unico ed originale?
Una voce che si distingua in mezzo agli altri milioni di romanzi? (Motivo per cui un lettore decide di leggere il vostro di romanzo!)
Ad esempio, possiamo prendere a prestito i meccanismi, la nomenclatura, le specificità del nostro mestiere, e trasporli in narrativa. Invece di vedere il nostro lavoro come limite, potremmo vederlo come un’opportunità. Condividi il Tweet
Tanti scrittori illustri e importanti non sono nati come romanzieri, ma proprio grazie alla loro formazione, al loro background, hanno dato un contributo originale alla letteratura.
Se state con me, vi darò qualche esempio, ma naturalmente l’elenco sarebbe molto più lungo.
Esempi di scrittori che non nascono come scrittori
- Paolo Giordano
- Dino Buzzati
- Primo Levi
- Laclos
- Carofiglio
Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, grande generale ed esperto di balistica prima che romanziere, nelle Relazioni pericolose ci parla del desiderio come di un proiettile che non colpisce il bersaglio in maniera rettilinea ma che subisce in verità una deviazione: l’ostacolo, in questo modo, muta quella traiettoria visiva che il soggetto aveva costruito nella sua mente rivelandone una nuova. I richiami all’arte della guerra e alla dinamica dell’impaccio sono infatti numerosissimi: si utilizzano parole quali impresa, attacco, rivale, difesa, combattimento, resistenza per descrivere una volontà di seduzione, per sottolineare questa evidente implicanza tra il procedere della passione e quello della battaglia.
“L’impresa che mi sta a cuore è ben diversa… ecco chi oso attaccare… ecco una nemica degna di me” (p. 24); “Voi ben sapete quanto siano intensi i miei desideri quando voglio raggiungere ad ogni costo qualche cosa scavalcando qualsiasi ostacolo.. ho urgente bisogno di possedere questa donna per liberarmi dalla ridicola situazione di esserne innamorato: dove non ci condurrebbe un desiderio contrastato?”
Primo Levi in Se questo è in uomo, su cui milioni di cose si potrebbero dire, compie un’analisi fredda, spietata, quasi imparziale della tragedia, proprio aiutato dalla sua formazione non letteraria che, in caso contrario forse, lo avrebbe portato alla ridondanza, al ricamo melodrammatico, alla ricerca poetica lì dove poesia non c’è e non può esserci. È l’uomo di scienze che sta dietro a quelle pagine.
“A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.”
Venendo ai giorni nostri, e affrontando tematiche meno impegnative, Paolo Giordano prima di diventare famoso con la Solitudine dei numeri primi, era (ed è tuttora) un fisico. La sua formazione e professione emergono chiaramente in un estratto quale:
“I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi.”
Gianluca Carofiglio, scrittore di romanzi gialli e che ha inaugurato il filo del thriller legale italiano, era un magistrato, pretore, pubblico ministero, sostituto procuratore alla Direzione distrettuale antimafia di Bari. È importante sottolineare che, prima di dedicarsi alla scrittura di romanzi, aveva alle spalle parecchie pubblicazioni tecniche e di settore. Sicuramente questo ha inciso sul suo stile e sulla precisione nell’esposizione dei fatti. E proprio al riguardo all’usura delle parole scrive:
“Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle.”
Una delle cose che consiglio, quindi, in fase di revisione ed editing del vostro manoscritto, è quello di controllare ogni metafora, ogni similitudine, espressione connotativa, e verificare che risulti originale, che sia frutto di una vostra associazione personale.