Una di Luna, Andrea De Carlo

Una di luna, Andrea De Carlo

Edito da: La Nave di Teseo

pag. 268, € 18

13 settembre 2018

 

Il coraggio e il mestiere

Una doverosa premessa: sono cresciuto con i romanzi di Andrea De Carlo:

da Due di Due, a Di noi tre ad Arcodamore, passando per tutti gli altri.

Io e i, a quei tempi ancora non numerosissimi, seguaci dello scrittore milanese,

ci sentivamo parte di una minoranza, di un club dove non tutti accedevano e aspettavamo con ansia l’uscita del suo ultimo romanzo.

Ho avuto anche il piacere di intervistare Andrea De Carlo e di conoscerlo di persona a varie presentazioni dei suoi romanzi.

Purtroppo questo senso di esclusività, di ansia per l’attesa della sua ultima opera, dove avremmo ritrovato coraggio, passione, ribellione, ragionamenti fuori dagli schemi, è scemata in modo direttamente proporzionale alle cataste di copie di Una di Luna all’entrata di librerie e supermercati e alle trovate di marketing di massa, quali la presenza a Striscia la Notizia e da Marzullo.

Prima di entrare nel merito delle tecniche narrative della recensione di Una di Luna, vorrei anteporre una discriminante che personalmente è fondamentale per apprezzare o meno un libro: la genuinità.

Una di Luna è un romanzo che potrei dividere in due parti.

La prima parte parla del rapporto tra la protagonista Margherita e suo padre.

Questa fase è interessante, ironica, originale e diversa dalle care tematiche Decarliane di amore-e-amicizia. Prende corpo, infatti, l’analisi psicologica del complicato rapporto padre-figlia ed emerge il punto di vista della protagonista.

L’unica nota critica di questa sezione è l’incipit:

“Dopo almeno un quarto d’ora che aspettavo sempre più nervosa sulla riva di pietra d’Istria smussata bianco-gialla subito a sinistra della fermata Ferrovia, la barca verde dei miei con mia madre al timone e mio padre seduto sulla panchetta centrale è finalmente arrivata, attraverso il traffico di vaporetti e lance e barche cariche di scatoloni e fusti di birra e cemento e spazzatura, nell’acqua smossa color giada.”

La voce narrante e il punto di vista dovrebbero essere quelle di Margherita, una giovane chef molto sanguigna e passionale. Invece ritroviamo la voce narrante dello scrittore De Carlo che, forse per vanità, non rinuncia alle belle descrizioni, agli aggettivi ricercati e alle solite proposizioni collegate per polisindeto  (e…e…e), insomma, a mostrarci il suo mestiere.

E allora a me dà l’impressione che, invece di ascoltare Margherita, stiamo sentendo la tecnica stilistica dello scrittore.

Dopo la situazione migliora, lo stile si ammorbidisce, il flusso narrativo diventa fluido e

finalmente veniamo assorbiti dalle vicende, dai pensieri, sensazioni e sentimenti della protagonista.

La parte del viaggio con suo padre Achille per raggiungere gli studi di Chef Test, è quella più bella e divertente.

Il personaggio riuscito meglio è proprio Achille: un rinomato chef di Venezia, alto un metro e cinquantaquattro, pieno di rabbia e risentimento che, a causa, delle sue manie di grandezza, ha perso tutto.

Negli studi televisivi della provincia milanese ritroviamo il De Carlo migliore: ironico, tagliente, con una scrittura cinematografica ricca di dettagli visivi, in cui prendono vita personaggi-macchietta ma soprattutto emerge la difficile comunicazione tra padre e figlia.

È da quando ero bambina che lo vedo rimbalzare tra atteggiamenti autoritari e ingenuità abissali, intuizioni, abbagli, scelte aggressive, cortesie d’altri tempi, successi clamorosi, errori catastrofici, eccessi di generosità, concessioni di fiducia alle persone più sbagliate.

Poi però il romanzo vira improvvisamente.

Entra di scena una figura maschile, un mago francese:

il solito personaggio positivo, romantico, virile e rassicurante ma che, a differenza di altri personaggi tipici

Decarliani di romanzi come Uto, Macno, Di noi tre, non gode della stessa profondità.

A questo punto perdiamo traccia della tematica principale, il complicato rapporto tra Margherita e Achille, e veniamo incanalati in una banale storia d’amore a lieto fine.

Per ritornare al punto di partenza di questa mia recensione di Una di Luna, concludo dicendo che trovo questo romanzo poco genuino, in cui il mestiere ha prevalso sull’autenticità artistica, in cui la rassicurazione del successo commerciale ha avuto la meglio sul coraggio e la voglia di rischiare e di sperimentare.

Spie semantiche ne sono già il titolo (che riprende in modo stanco e immotivato Due di Due), e la ascelta del nome della protagonista: Margherita Malventi (sempre giocato sull’assonanza nome-cognome).

E voi, l’avete letto? Vi è piaciuto?

Una di Luna, quarta di copertina

Margherita Malventi si dedica a una cucina intima e riflessiva nel suo piccolo ristorante a Venezia, nel sestiere di Castello, ed è convinta che la luna le abbia salvato la vita più di una volta. Suo padre si chiama Achille, ha ottantasette anni, è alto un metro e cinquantaquattro, ed è stato uno dei più rinomati chef della città lagunare, finché non ha perso tutto a causa delle sue manie di grandezza. È un uomo rabbioso, in guerra contro il mondo, ma l’invito a partecipare come ospite d’onore a Chef Test, popolarissimo programma televisivo di cucina, sembra offrirgli la possibilità di una rivalsa pubblica. Margherita decide di accompagnarlo a Milano, dove il programma viene registrato, con la speranza assai poco realistica che il viaggio possa dischiudere tra loro una comunicazione che non c’è mai stata

Liberiamo i libri dalle biblioteche

Michele Renzullo

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Una di luna
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