Com’è cambiata la comunicazione con i social network

da | Nov 28, 2018 | TECNICHE NARRATIVE | 0 commenti

Ieri ho rivisto Turné, il mio film preferito della trilogia della fuga di Salvatores.

Chi appartiene alla mia generazione non può fare a meno di provare un po’ di nostalgia nel rivederlo. La classica melanconia per il tempo passato e la voglia struggente dei mitici anni ’80, un’epoca unica e irripetibile in termini di creatività e di arte.

Ma le scene che mi hanno più colpito sono state quelle in cui il disperato Bentivoglio e la bellissima Laura Morante fermavano la macchina per cercare una cabina telefonica. Non ho potuto fare a meno di paragonare quelle situazioni allo scenario moderno. Lungi da me il demonizzare la tecnologia o l’unirmi al coro di si stava meglio quando si stava peggio. Però…

Però ho fatto alcune considerazioni.

La prima è che, anteriormente l’avvento del telefonino, volenti o nolenti, eravamo più coraggiosi.

In che senso?

 

Siamo diventati struzzi

struzzo

Venti, trent’anni fa, se avevamo un problema, dovevamo rimanere lì, a guardare in faccia la situazione, incrociare gli occhi con chi ci faceva star male o dava fastidio. Dovevamo dire qualcosa, scappare come fa Bentivoglio, oppure stare zitti e incollare lo sguardo a terra. Ma anche quello era comunicazione: quel silenzio richiedeva coraggio.

Ora, invece, ci nascondiamo dietro gli schermi. Se anche apprezziamo la compagnia di chi ci sta attorno, siamo perennemente distratti e vogliamo sempre essere in contatto con qualcun altro collegato in rete. Penso che questo non dedicarsi, questo non concedersi completamente all’altro quando sei a cena con i tuoi familiari, in compagnia del tuo moroso o a cazzeggiare con gli amici, influisca sul rapporto con le persone e sulla comunicazione: ci sei, ma non completamente; ti fa piacere, ma è più interessante essere virtualmente con qualcun altro da un’altra parte.

E quando ci troviamo in una situazione scomoda? Quando qualcuno non ci piace, o ci offende o ci irrita?

Affondiamo la testa sul telefonino come fa lo struzzo nella sabbia, scompariamo ma rimaniamo fisicamente lì. Non abbiamo il coraggio di comunicare chiaramente le nostre sensazioni, di mandare al diavolo qualcuno. Questo comportamento noioso, se non codardo, non aiuta a fare chiarezza nelle relazioni.

Il sentimento della noia nasce in me da quello dell’assurdità di una realtà, come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della propria effettiva esistenza.
Moravia.

 

 

Ma come facevamo ad ammazzare il tempo prima dell’avvento degli Smartphone?

i ragazzi del muretto

Semplicemente ci si annoiava insieme. Si passavano ore ed ore sulla panchina, appoggiati al muretto, sdraiati sull’erba o a ritrovarsi a casa di qualcuno.

La noia era fastidiosa ma ammissibile. Ci si lamentava del trascorrere lento del tempo e della mancanza, a volte, di attività, viaggi, divertimenti. Ma alla fine, qualcosa si combinava. E un viaggio anche al paese vicino o in centro città diventava qualcosa di epico.

Ora non abbiamo più il tempo di annoiarci: ma la nostra vita è sempre così piena di cose interessanti da fare? Forse sì, ma forse no. Semplicemente siamo distratti e non ce ne rendiamo conto. Non ce ne vogliamo rendere conto perché siamo drogati, non siamo mai presenti nel momento, vogliamo solo annullare la nostra coscienza nell’oblio.

Eravamo più concentrati prima?

Diciamo che le distrazioni di allora erano collettive. Se, ammettiamo, passava per strada il matto di turno o una sventola, si smetteva di parlare e l’attenzione di tutti era catalizzata da quell’evento.

Oggi le nostre distrazioni sono individuali. Abbassiamo la testa sullo schermo e siamo rapiti da una notizia scandalistica, da una notifica che ci gonfia il petto d’orgoglio o una risposta che potrebbe attendere ma che non riusciamo a posticipare. La condivisione è solo virtuale, non coinvolgiamo più la persona che ci sta a fianco con la stessa intensità del passato.

Lo vediamo dal paradosso dei selfie: una fotografia rivolta all’interno, fatta da noi stessi. Foto che puntualmente postiamo sui vari canali per avere l’approvazione sociale. Vogliamo condividere questo momento importante con una platea di conoscenti (o addirittura sconosciuti), ma non vogliamo fermare un estraneo per domandare un favore.

Oggi si ammazza il tempo con i telefonini, prima seduti su un muretto. Ma ora la mente non riposa mai, è sempre connessa, collegata, attiva anche quando cazzeggia, e questo non permette un completo riposo della parte razionale del cervello (l’emisfero sinistro). Riguardate tra un anno le foto che scattate oggi, e vi accorgerete, nella maggior parte dei casi, che non avevano nessun valore.

Forse non scriviamo e leggiamo per rifuggire la noia? Ma se la noia non esistesse?
Se tutto il tempo fosse compresso in una frenetica sequenza di attività da svolgere? Non avremmo più la possibilità di oziare e, conseguentemente, creare.
Difatti, a volte ci mettiamo a scrivere e non riusciamo a produrre nulla, presi dall’ansia da prestazione: ecco
come nasce il blocco dello scrittore.

 

 

Liberiamo i libri dalle biblioteche

Michele Renzullo

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