Tutto è autobiografia…

Il conflitto è una parte intrinseca della condizione umana. Di conseguenza, è una componente fondamentale di qualsiasi arte, dalla letteratura, al teatro, alle arti visive.
Istinto e tecniche narrative sono entrambi aspetti importanti se si vuole apprendere come scrivere un romanzo che sia credibile agli occhi del lettore. Se da una parte dobbiamo mettere del nostro, per dare profondità ai personaggi e spessore alla storia, dall’altra non dobbiamo confondere la narrativa con l’autobiografismo.
Amos Oz dice:
E allora, quanto c’è di autobiografico, nelle mie storie, e quanta invenzione, invece? Tutto è autobiografia: se un giorno scrivessi una storia d’amore tra madre Teresa e Abba Eban, sarebbe di sicuro una storia autobiografica – benché non confessa. Ogni storia che ho scritto è un’autobiografia, nessuna è una confessione.
Se quando scriviamo un romanzo, quindi, tutto parla di noi, anche nelle trame più fantasiose e attraverso i personaggi più disparati, dobbiamo prestare attenzione a non fare della narrativa una replica della vita.
Un romanzo, un racconto, una novella sono metafore della vita, non l’oggettiva rappresentazione.
Dicevamo, in fase di apertura, che il conflitto è presente nella vita di ciascuno. Ma nella vita reale, fortunatamente, non ci va sempre male. A volte le nostre reazioni agli eventi sono sufficienti a risolvere il problema, ristabilire l’equilibrio spezzato. Ma nella narrativa non possiamo mai avere una situazione di questo tipo.
Facciamo un esempio per capire meglio cosa intendo.
Ipotizziamo il seguente scenario:
Elena ha un lavoro part-time alle Poste, suo marito un lavoro stabile in banca con un buono stipendio. Non sono ricchi ma non hanno particolari problemi. Elena coltiva la passione per il teatro e sfrutta il lavoro alle Poste, che odia, solo per lo stipendio. Il teatro la impegna molto ma le dà anche molta soddisfazione. Ha un figlio di 17 anni, Ivan, che ha finito le scuole superiori. Ivan sceglie per il suo futuro un’università prestigiosa, molto costosa, con sede a New York. Elena e il marito non potrebbero permettersi l’università, se non che ad Elena viene offerta la possibilità di lavorare full-time, un aumento di stipendio e uno scatto di carriera. A questo punto ce la farebbero a pagare la retta
Per Elena scatta il conflitto: cosa fare?
Accettare l’impiego a tempo pieno, il piano di carriera prospettato dalle Poste, con presunto abbandono del teatro, e
realizzando il sogno di suo figlio? O tenersi il part-time, deludendo Ivan?
Nella vita reale
Elena cerca di ragionare col figlio dicendo che si tratta di un investimento ingente, che scombussolerebbe il loro bilancio economico familiare, e che potrebbe cercare un’alternativa in Italia. Ivan, dopo una mezza litigata, si convince e accetta di andare in una prestigiosa università a Milano. Elena rifiuta il full-time e la vita riprende esattamente come prima.
Nella narrativa
Elena cerca di ragionare col figlio, ma Ivan non ne vuole sapere, si arrabbia e scappa via da casa. Nel frattempo al lavoro la mettono sotto pressione, e la costringono praticamente ad accettare il full-time e lo scatto di carriera. Elena deve rinunciare al teatro, e non sa dove sia suo figlio.
A questo punto siamo arrivati ad un punto di non ritorno.
La reazione messa in atto dalla protagonista Elena non è sufficiente a ristabilire l’ordine.
Dovrà non solo cercare suo figlio, ma capire anche quali sono le priorità nella sua vita. Dovrà a questo punto lottare contro le forze antagoniste. Da qui la storia può avere inizio.