Perché non basta avere una buona idea per scrivere un buon romanzo
Il mondo della letteratura, dell’editoria e della scrittura creativa è diviso in due schieramenti:
chi crede che il talento sia innato, e che la sacra arte dello scrivere non si possa insegnare.
E chi pensa che la scrittura possa essere affrontata come qualsiasi altra arte e disciplina, e quindi possa essere trasmessa e affinata.
Scrivere è riscrivere
Forse non si può veramente insegnare a scrivere un romanzo e, certo, una certa sensibilità linguistica e predisposizione alla scrittura sono elementi che dovrebbero far parte del tuo corredo genetico. Ma attraverso la riscrittura e il confronto con gli altri possiamo affinare il nostro modo di scrivere e considerare in modo critico il nostro testo in fase di revisione, editing e riscrittura.
Abbiamo il falso mito che i libri, così come li conosciamo, nascano di getto dalla penna dello scrittore che, preso dal raptus dell’ispirazione, sforna il suo capolavoro da consegnare all’editore, pronto per la pubblicazione.
Ma non è così.
Prendiamo l’esempio del celebre romanzo “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” di Stevenson,
che ha avuto un parto molto travagliato.
Come ci sarebbe apparso “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” se Stevenson non avesse usato l’allegoria del mostro?
Probabilmente qualcosa come:
“Mi sento malissimo a causa dei miei sensi di colpa, del mio conflitto interiore tra ciò che mi piacerebbe fare e quello che la società si aspetta da me.”
Non molto avvincente, vero? Perché in questo caso Robert Louis Stevenson ci avrebbe parlato dei fatti suoi e – onestamente – abbiamo già i nostri di problemi.
Ma, inizialmente, andò più o meno così.
Difatti, lo scrittore scozzese scrisse di getto la prima versione al risveglio da un sogno angoscioso. Dopo tre giorni il racconto era terminato. Radunata la famiglia, lesse il testo ad alta voce, ma il feedback ricevuto dalla moglie non fu entusiasmante: Stevenson non aveva sfruttato tutte le potenzialità della storia, non aveva trasformato il magma della sua sofferenza in letteratura, né aveva usato l’allegoria del mostro, potente figura retorica.
Facendo un po’ di “reverse-engineering”, possiamo supporre che ne risultasse un racconto piuttosto didascalico e con pochi elementi di fiction e di storytelling.
Inizialmente sconvolto, Stevenson gettò tutto il suo manoscritto nel fuoco.
A quel gesto i famigliari rimasero sconcertati, ma lo scrittore disse di non preoccuparsi, che doveva liberarsi di quel testo,
perché avrebbe bloccato la creazione della nuova storia.
Una prima lezione che possiamo imparare:
Non dobbiamo avere paura di cancellare interi paragrafi o addirittura tutta la tua storia. Le parole già scritte possono bloccare il fluire di quelle nuove.
Lo scrittore si rimise all’opera e, dopo sei giorni di lavoro febbrile, convivendo con una brutta malattia polmonare, partorì il romanzo come oggi lo conosciamo.
No excuses! L’unico modo per produrre un romanzo è scrivere. Se Stevenson riuscì a scrivere dieci mila parole al giorno, nonostante la malattia, noi ne posssiamo scrivere mille.
Stevenson, con “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” ci mette di fronte al nostro lato in ombra, alle nostre inquietudini, ai nostri desideri repressi, alle pulsioni più sordide, e lo fa raccontando una storia misteriosa, surreale, con i moderni canoni del giallo, del poliziesco e del noir.
Lo fa, soprattutto, giocando con i punti di vista dei personaggi. Questo è un elemento essenziale per farci provare sentimenti contrastanti e alternanti nei confronti del mostro e del dottore; Hyde, difatti, non è solo un mostro ma una proiezione del nostro lato oscuro.
scegliere e alternare il punto di vista del narratore può essere estremamente efficace (se non a volte l’unico modo) per farci provare empatia verso il protagonista.
A tal proposito, ti invito ad approfondire l’argomento: il conflitto a tre livelli del protagonista.
Quante volte, ricordando un episodio riprovevole o bizzarro che abbiamo compiuto, ci siamo domandati: sono stato veramente io a farlo?
E rinneghiamo quell’atto perché pensiamo che non faccia parte di noi: siamo delle persone migliori, noi, vogliamo avere la coscienza candida e smacchiata come una tovaglia di lino. Ma il nostro subconscio sa che quelle pulsioni fanno parte del nostro essere; ecco che nasce il conflitto interiore, ed ecco come Stevenson, invece di raccontarlo in modo letterale e testuale, inventa lo split delle personalità e l’allegoria del mostro.
“Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m’ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due…”
attraverso il processo di manipolazione della nostra sofferenza, creando una storia narrativa, con elementi di fiction e una sequenza di fatti concatenati dal rapporto di causa-effetto, trascendiamo il personale, e approdiamo all’universale.
Ambientazioni cupe, la descrizione di una Londra gotica, un intreccio poliziesco, una narrazione affidata a punti di vista diversi, un ritmo incalzante: tutte queste sono alcune delle tecniche narrative che ci tengono incollati alla pagina e bramosi di voler saper come andrà a finire.
intrattenere e far riflettere: ecco tutto ciò che domandiamo ad una storia.
E tu, quale lezione pensi di aver appreso leggendo un classico?
Scarica il pdf del romanzo "Lo strano caso..."
Curiosità
Figlio unico di Thomas Stevenson, ingegnere edile specializzato nella costruzione di fari, temperò la malinconia e la durezza del carattere scozzese con il brio e la gaiezza che gli derivavano dall’origine francese della madre, Margaret Isabella. Sia la madre che il nonno avevano problemi ai polmoni, con febbre e tosse frequenti. Una eredità scomoda per il ragazzo che era spesso malato e aveva necessità di trascorrere parecchi mesi all’anno in un clima più salubre. Anche la sua inquietudine di viaggiatore e la costante magrezza erano per lui legate alla salute.

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