“Ciao Aristo, come va?”

“Na tragedia greca. Torno ora dal liceo. Sti scolari di oggi passano ore ed ore a giocare a dadi.”

“So’ ragazzi. Senti, hai due minuti? Sono in crisi con un racconto.”

“Se c’è una soluzione perché ti preoccupi? Se non c’è una soluzione perché ti preoccupi?”

“Eh vabbè, Aristo…”

“Dai, dimmi un po’.”

“Volevo raccontare la storia di un uomo che non fa molto nella vita. Non ama il suo lavoro, non fa più complimenti alla moglie, passa il tempo a bere birra davanti alla tv.”

“Modello Homer Simpson insomma?”

“Eh. Più o meno. Ma come fai a conoscerlo?”

“Lascia stare.”

“Dunque. Questo tipo, cos’è che vuoi fargli fare? Cosa vuoi che ci domandiamo leggendo il tuo testo?”

“Vorrei che il lettore si domandasse se può cambiare atteggiamento nei confronti della vita.”

“Capisco. “

“Cioè, è come se avesse chiuso gli occhi di fronte alle opportunità che la vita offre.”

“Mi stai dicendo che in qualche modo è come se fosse cieco.”

“Esatto! Cavolo Aristo, proprio come se fosse cieco. Potrei magari fargli perdere la vista. Che dici?”

“Uhm… non so, non mi convince. Troppo didascalico. Non sottovalutare i tuoi lettori. Ci vuole qualcosa di più raffinato… Cosa ne pensi se, invece, introduci un altro personaggio. Un cieco vero e proprio.”

“Cavolo! Che pensata!”

“Grazie.”

“Quindi potrei fargli fare da cicerone spirituale. Cioè, il cieco che, mettendo a disagio il mio Homer gli fa spalancare gli occhi al mondo.”

“Magari facendoglieli chiudere.”

“Geniale!”

“Grazie. D’altronde, non esiste grande genio senza una dose di follia.”

“Ah ah. Senti… non è che potresti darmi qualche altro consiglio.”

“Tipo?”

“Che ne so, come lo struttureresti?”

“Dai, Raymond, non c’è bisogno che reinventi la ruota. La struttura è sempre quella.”

“Quella che usi anche a teatro?”

“Eh.  Fai: prima parte. Porti il lettore al centro dell’azione.  Ricordati di stabilire la domanda drammaturgica principale.”

“Che paroloni Aristo.”

“Allora, presente quando ti ho chiesto cosa vuoi che il lettore si domandi?”

“Se il protagonista potrà cambiare.”

“Eh, quella.”

“Poi, nella parte centrale arrivi al cuore della storia. Sviluppi bene il tuo protagonista, il cieco; io ci aggiungerei anche la moglie del tipo. Qualche descrizione qua e là.”

“Ok.”

“Mi raccomando, devi fargli fare il paiolo… insomma, riempire il percorso del tuo personaggio di ostacoli.”

“Chiaro, sennò di che parliamo.”

“E poi la fine. Rispondi alla domanda drammaturgica principale. Capito cos’è, no?”

“Ah, ah.”

“Descrivi tutte le conseguenze del racconto, fai salire la tensione al massimo fino al Climax!”

“Si, me lo ricordo quello. Grazie Aristo, non so come ringraziarti. Sempre utilissimo!”

“Macché… “

“Non fare il modesto.”

“Non è questione di essere modesti. La modestia non può essere detta una virtù, perché assomiglia più a una sofferenza che a una qualità.”

Ora, leggi finalmente il racconto: Cattedrale di Raymond Carver

Liberiamo i libri dalle biblioteche

Michele Renzullo

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