
Accabadora, Michela Murgia
Edito da: Einuadi
pag. 163, € 12
2009-11-14
Pubblicato da Einaudi, in accordo con Agenzia Letteraria Kalama
Un’opera minimalista
Accabadora, il romanzo di Michela Murgia, edito da Einaudi (da cui è stato tratto l’omonimo film) è un’opera narrativa imperdibile che definirei minimalista.
Non lasciatevi ingannare dalla brevità del libro. Questa storia avrebbe potuto occupare ben più delle 163 pagine in cui è stata sviluppata; ma proprio la compattezza di questo libro dà la cifra della sua peculiarità: la sintesi.
Accabadora è un’opera realista e poetica allo stesso tempo.
Ma cosa intendo per poetica? Non parole in rima o che suonino bene, non la ricerca del bello, non frasi ad effetto, ma la capacità di sintetizzare con le parole elementi diversi, creare connessioni nuove Condividi il Tweet originali, vedere la realtà senza pregiudizi, raggiungere una profondità non comune, avendo sviluppato un senso critico particolare..
Come quando, seguendo la protagonista Maria tra le strade di Torino dove emigra, fa un’osservazione riferita alla città che la ospita:
[…] l’idea che tutte le cose in apparenza troppo lineari non fossero che un’ammissione di debolezza: nessuno si sarebbe preso la briga di disegnare strade così dritte, se non avesse molto paura.
O ancora, quando la narratrice compie accostamenti inaspettati:
Dietro la porta Maria conservò il respiro come un segreto, fino a quando non li sentì riprendere a muoversi rapidi, uscire e lasciare la casa in un silenzio sbagliato.
In tutti i corsi di scrittura creativa si raccomanda di eliminare quasi gli aggettivi qualificativi. Ma aspetta. Un conto è un aggettivo che deve rinforzare un nome perché debole o impreciso, altro è quando, come in una nuova ricetta, lo specifica in modo sorprendente. Come nel sintagma silenzio sbagliato.
Vediamo come tutte le parole abbiamo un loro significato preciso e, accostate ad altre, ne acquisiscano uno nuovo. Non c’è nessuna parola superflua nella sua scrittura connotativa e realista.
La trama
Nei primi anni cinquanta del XX secolo a Soreni, un piccolo paesino della Sardegna, la piccola Maria Listru, ultima e indesiderata di quattro sorelle orfane di padre, viene adottata da Bonaria Urrai, vedova benestante. Maria diventa così una filla de anima, come “i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell’altra”.
Maria e Tzia Bonaria, sarta del paesino, vivono come madre e figlia consapevoli entrambe di non esserlo. Si scoprirà alla fine del romanzo che Bonaria aveva deciso di adottare Maria, quando un giorno l’aveva vista rubacchiare delle ciliegie, senza che sul volto della piccola trapelasse “né vergogna né consapevolezza”.
A Maria, infatti, “Non le era ancora passato quel vizio, quello di rubare piccole cose di cui non aveva bisogno, ma che desiderava”.
C’è però qualcosa di misterioso nella vecchia Tzia Bonaria, nei suoi silenzi, nello sguardo timoroso di chi la incontra, nella sapienza millenaria riguardo alle cose della vita e della morte e nelle improvvise uscite notturne che Maria non riesce a comprendere. Quello che tutti sanno e Maria non ancora, è che Bonaria Urrai conosce i sortilegi e le fatture di una cultura rimasta arcaica nel profondo, e che quando è chiamata, solo se veramente voluto dall’interessato senza speranza, è pronta a portargli una morte pietosa.
Il suo è il gesto amorevole e finale dell’accabadora, l’ultima madre.
Alla fine Maria dovrà riconsiderare le frettolose convinzioni sull’eutanasia espresse anni prima.
I personaggi
Non solo le protagoniste sono caratterizzate nei loro aspetti umani, di donne con il loro rapporto unico con la Sardegna, ma in poche righe anche i personaggi minori godono di un breve approfondimento psicologico, quando la narratrice riesce ad andare oltre le apparenze e interpretre segnali, silenzi, gesti trattenuti.
Dotato di una naturale eleganza e molto alto per i suoi quindici anni, Piergiorgio non aveva nulla del comico impaccio adolescienziale che Maria aveva conosciuto in Andría Bastíu; nonostante i segnali evidenti lanciati da una virilità in divenire che contendeva furiosamente in lui gli spazi all’infanzia, nello sguardo cupo di quel ragazzino c’era qualcosa di già concluso che la sconcertava, e la spingeva con cautela.
I dialoghi
I dialoghi sono a metà strada tra evocativi e realistici (sembra quasi di respirare una nota verista). In ogni caso sono scritti in modo magiastrale:
– E mamma non ne avevate?
– Certo che ne avevo, si chiamava Anna. Ma è morta tanti anni fa anche lei.
– Come mio padre, – aggiunse Maria. – A volte lo fanno.
Bonaria rimase stupita
Similitudini
Tropi non solo originali, ma contestualizzati all’ambiente dove sono calati i personaggi:
Le domande della notte erano evanescenti come l’odore che si levava dalla cenera tiepida.
La vita e la letteratura
La letteratura non può prescindere da una certa sensibilità di base, dall’intuito, dall’osservazione della realtà con uno sguardo curioso.
In alre parole, la letteratura nasce prima di iniziare a scrivere, nasce dalla vita (e dalla morte).
L’anziana sarta parlava con sincerità con cui si fanno le confidenze agli sconosciuti sul treno, sapendo che non si dovrà sopportare mai più il peso dei oro occhi.
Curiosità
Michela Murgia è nata a Cabras nel 1972. Nel 2006 ha pubblicato con Isbn Il mondo deve sapere, il diario tragicomico di un mese di lavoro che ha ispirato il film di Paolo Virzì Tutta la vita davanti.
Per Einaudi ha pubblicato nel 2008 Viaggio in Sardegna. Nel 2009 il romanzo Accabadora, vincitore del Premio Campiello 2010, nel 2011 Ave Mary, nel 2012 Presente e L’incontro. È fra gli autori dell’antologia benefica Sei per la Sardegna, i cui proventi saranno destinati alla comunità di Bitti, un paese gravemente danneggiato dalla recente alluvione.
Il 10 novembre è uscito il suo nuovo romanzo Chirù, sempre per Einaudi.
Nel giugno 2016 ha pubblicato il saggio Futuro interiore.
Per Marsilio (2018) ha pubblicato L’inferno è una buona memoria.

cit.
I bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell’altra.

cit.
Le colpe come le persone iniziano ad esistere se qualcuno se ne accorge.

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